06/10/09

nel villaggio






Leggendo il blog di Marina,"inezie essenziali" mi sono tornate alla mente le scandole.
Le scandole sono delle assicelle di legno di larice larghe una ventina di centimetri per circa un metro di lunghezza e venivano utilizzate per la copertura dei tetti in montagna.






Fra i ricordi nostalgici della mia fanciullezza, uno dei più vividi riguarda i temporali estivi, particolarmente forti nelle ore pomeridiane del mese di giugno, quando usciva dall'inferno la madre di san Pietro, che, secondo le storie che i vecchi mi raccontavano, era una donna malvagia e per questo motivo era finita all'inferno, però in prossimità della festività dei santi Pietro e Paolo riusciva a fuggire, ma quando veniva ricacciata nelle fiamme eterne si ribellava scatenando furiosi temporali.
Durante questi temporali mi piaceva rifugiarmi nel fienile dove era stato accumulato il primo taglio della fienagione ed era una delizia scavare un foro nel fieno ed infilarsi per un sonnellino pomeridiano, anche perché col temporale non c'era la possibilità di giocare all'esterno e non c'era la TV.
Il fieno, che fermentava, emanava dei profumi incredibili, profumo di sole, di fiori, di prati, ma anche di tante fatiche e privazioni e anche serenità.
Allora, nel mio buco avvolto nel fieno , guardavo il tetto coperto di scandole e sentivo la pioggia scrosciante, mentre i tuoni si susseguivano fortissimi facendo vibrare le assi delle pareti ed i lampi si insinuavano fra le fessure a volte accecanti quando la saetta era caduta su qualche abete vicino, però in quel posto mi sentivo protetto ed al sicuro senza nessuna paura.
Altri momenti che ricordo con nostalgia, erano le serate d'inverno, quando per risparmiare la legna si passavano le serate nelle stalle, dove il riscaldamento era garantito dall'alito umido delle mucche e dal fieno che fermentava.
Ricordo la luce di una nuda lampadina da tre candele coperta dalle cacche delle mosche che emanava una luce fioca e giallastra e quando veniva accesa qualche altra lampadina un attrezzo chiamato limitatore (dei consumi), faceva lampeggiare le lampade finché una non veniva spenta.
Nella stalla c'era un odore particolare di fieno, di lettiera, di alito delle vacche, ma non era fastidioso, forse perché faceva parte della nostra vita.
Radunarsi nelle stalle era detto in dialetto: "fare filò" e raramente ricordo ci fossero degli uomini, normalmente erano le donne e qualche bambino; le donne lavoravano a maglia e passavano la serata raccontando gli ultimi petegolezzi della vita in paese, ma il pezzo forte della serata erano le storie macabre.
Queste storie raccontavano di morti ed era credenza comune che quando qualcuno veniva a mancare, pochi momenti prima del decesso, ci fosse un segnale costituito da qualche rumore inspiegabile, una signora raccontava di un giovane figlio deceduto cadendo da un tetto distante dalla casa della madre e questa signora si trovava in camera sua quando udì il rumore di una biglia che correva sopra l'armadio e lo schiocco della biglia caduta sul pavimento, ma per quante ricerche avesse fatto anche in seguito, della biglia non v'era traccia, poi arrivò qualcuno a dirle che il figlio era morto.
In altri casi raccontavano di rumori forti senza alcuna spiegazione, salvo, poi arrivare la notizia di qualche decesso di persone care e distanti.
Altri racconti, che poi ci procuravano degli incubi, parlavano di fantasmi.
Una di queste storie sentita ripetutamente da mia madre, si riferiva al racconto di suo fratello più anziano di lei di una quindicina di anni. Una notte, mentre dopo diversi mesi di lavoro all'estero tornava a casa nel villaggio di una decina di abitazioni in una radura isolata in mezzo ai boschi ed ai torrenti, dunque mentre, percorreva il lungo sentiero nel bosco, in prossimità di una grande quercia, incontrò una signora anziana di un villaggio distante con la quale scambiò poche frasi, perché la signora aveva premura.
Il giorno seguente raccontò l'episodio a mia nonna, meravigliato del fatto che questa signora si trovasse in piena notte così distante da casa sua e mia nonna lo interruppe dicendo che questa signora era morta da diversi mesi mentre lo zio era all'estero, il mistero si infittì quando mio zio raccontò ai familiari della defunta dell'incontro e di come era vestita narrando dei particolari dell'abbigliamento, i parenti riconobbero che la donna, così era stata abbigliata per l'ultimo viaggio.
In seguito a questo racconto da ragazzo, quando mi capitava di passare vicino a quella quercia al buio, allungavo il passo, ma non incontrai mai nessuno.
Questi racconti ci facevano correre i brividi lungo la schiena, mentre le mucche si giravano a guardarci con i loro grandi occhi umidi e miti e quando si giravano si sentiva il rumore della catena che scorreva nel foro della greppia e il rumore caratteristico che producevano ruminando.
Altro momento interessante era quando, frequentemente, le donne toccavano argomenti inerenti al sesso e si arrampicavano sugli specchi alludendo in maniera che i bambini non capissero di cosa si trattava, ma noi tendevamo le orecchie perché sapevamo fin troppo bene a cosa alludevano.
Poi, con il passare degli anni le stalle si sono svuotate, i fienili non sono più ricoperti dalle scandole, ma o coperti da lamiere ormai arrugginite, oppure sono diventati seconde case abitate un paio di settimane ad agosto e nel villaggio della mia infanzia, per gran parte dell'anno girano solo le volpi, i cervi, i caprioli e in questi ultimi anni anche i cinghiali, ma raramente gli uomini, solo i ricordi e le fatiche di chi non c'è più rimangono e anche il vento è più triste.

9 commenti:

rom ha detto...

Bè, tu lascia che il vento si porti via anche la tua, di tristezza: a lui non pesa, è nella sua natura portar via tristezza passando tra gli umani, così come a volte è nella natura degli umani non lasciargliela portar via...
Fantasmi, morte, paura, e sesso: guarda un po'! :-)
Il tuo bell'andare di racconto mi ha fatto tornare in mente un uomo conosciuto tanti anni fa. Faceva il commissario di bordo sulle navi da crociera, e stava imbarcato a volte per lunghissimi periodi. Mi raccontò che quando finalmente sbarcava e tornava nella sua casa di campagna, non appena cominciava a piovere andava a rifugiarsi in un locale per gli attrezzi il cui tetto era di lamiera, e lo faceva perché il rumore della pioggia era lì amplificato, e lui ne godeva fortemente. Una delle cose che gli mancavano di più sulle navi era proprio il rumore della pioggia.

rosso vermiglio ha detto...

Che meraviglia questo racconto! Un tuffo nel passato che ora non esiste più...mi sarebbe piaciuto provare le stesse emozioni... peccato che ora quei momenti non si vivano più. Lo stare insieme, il racconto degli adulti, lo scambio di emozioni.Quanto stiamo perdendo!

Alessandra ha detto...

leggerti è un po' come ritrovarmi bambina con mia madre, prodiga di racconti della sua infanzia a Vicenza. Caro amico sai che farò? la faccio sedere vicino a me davanti al pc e le leggerò questo post ... così aggiungerà altri particolari, altri episodi da conservare con affetto nel mio cuore.
Un abbraccio
Ale

Anonimo ha detto...

Grazie vecchio Sileno.
Ogni volta che apro il tuo blog c'è una novità, e ogni volta ritrovo vecchie sensazioni dimenticate, ricordi di racconti uditi da bambino, e provo contemporaneamente gioia e nostalgia e tristezza e consolazione.
Sei un grande.
Ti abbraccio.
Antonio

marina ha detto...

passo e controllo che tu e la tua poesia siate sempre qua...
un abbraccio, marina

PS sai che la parola scandola l'ho scoperta solo qualche anno fa' leggendo Pastorale americana di Philip Roth? chiamavo tutte le coperture dei tetti allo stesso modo: tegole. che vergogna!

lodolite ha detto...

l'idea di un luogo dove non
si ha paura la sento mia,e so che è una sensazione che si può provare solo a stretto contatto con la natura.
ciao, simona

amatamari© ha detto...

Sono queste le ore migliori, al calare della sera, e stiamo ad ascoltare con cuori bambini una voce raccontare, e ci raccogliamo attorno al fuoco della memoria per mantenerlo sempre vivo.
Grazie Sileno.
Un abbraccio.

Tereza ha detto...

La bellezza e la dolcezza del racconto, ecco cosa trovo sempre qui da te...
Te l'ho già scritto: sei un affaccio rasserenante sul mondo solenne e prezioso della montagna.
Continua a scriverne, per favore,sei le tue parole scritte rappresentano una fuga riappacificante
un abbraccio
Tereza

Stefi ha detto...

Adoro i temporali ed i racconti misteriosi e le leggende!!
e..con un brivido lungo la schiena..mi hai fatto tornare bambina! :-)
Ti abbraccio aspettando il prossimo post!!.