24/10/09

autunno

... e viene il tempo degli alberi che lasciano cadere foglie d'oro....





....e viene il tempo
dei giorni che s'accorciano...





....una stellina si ferma ad ascoltare.
(E.Borches)

21/10/09

equilibrio

L'universo è in equilibrio quando le due mani si uniscono.
(Dugpa Rimpoce)


16/10/09

Col di Lana


Le due cime del Col di Lana (a sinistra) viste da nord, a destra il monte Sief dietro il ghiacciaio della Marmolada
Fra le tante vette inzuppate dal sangue innocente di tanta gioventù mandata a morire durante la prima guerra mondiale per la stupidità umana, un particolare risalto merita il Col di Lana, poi ribattezzato dai soldati : "Col di Sangue".
Alto m.2462/slm, il Col di Lana non è una montagna molto appariscente in mezzo alle meravigliose cime che la contornano.
Il Col di Lana ha una tozza forma piramidale, boscoso alla base poi molto ripido, erboso e con salti di roccia lungo il versante sud.


Il Col di Lana visto da sud in una foto del 1915



Sulla sommità due le cime separate da una selletta: Col di Lana e monte Sief, tali vette nel 1915 erano presidiate dall'esercito austro-ungarico; nel maggio del 1915 solo pochi e anziani miltari austriaci erano a guardia del confine dolomitico, il generale Nava al comando della IV armata italiana, allo scoppio della guerra, anziché avanzare in una zona pressocché sguarnita di truppe nemiche, temporeggiò per lungo tempo dando così modo agli austriaci di inviare truppe combattenti che si insediarono in cima a tutte le vette delle Dolomiti, Nava venne poi destituito da Cadorna, ma ormai il danno era fatto e altissimo fu il tributo di vite umane pagato per conquistare le vette in mano agli austriaci.
Il Col di Lana ed il versante settentrionale dello stesso erano in mano austriaca, per conquistare la sommità, innumerevoli attacchi italiani, finirono con un bagno di sangue , perché a causa della morfologia del sito, per arrivare dal versante meridionale alla vetta, bisognava percorrere un lungo tratto su pendii molto ripidi e senza ripari, dove dal crinale di vetta, gli austriaci avevano buon gioco a falciare con le mitragliatrici e con l'artiglieria gli italiani che avanzavano in piena vista del nemico.
Dopo sei mesi di inutile strage, un sottotenente propose di minare la vetta costruendo una galleria, il nome del sottotenente era Gelasio Caetani, ingegnere minerario, duca di Sermoneta e discendente dalla famiglia dei Caetani che diedero alla storia il papa Bonifacio VIII.


Il secondo da sinistra: Sottotenente Gelasio Caetani, ideatore della mina del Col di lana
Alla metà di gennaio del 1916 iniziarono gli scavi della galleria, gli austriaci notarono i cumuli enormi della roccia che veniva estratta dalla montagna e non riuscivano a capire il motivo di tanto lavoro, con grande astuzia Caetani richiedeva l'intervento dell'artiglieria quando dovevano far brillare le mine nella galleria, così gli scoppi delle cannonate occultavano lo scoppio delle mine.
Solo verso la fine della galleria intuirono il motivo di tale opera.
Sulla vetta si avvicendavano ogni tre giorni due compagnie austroungariche al comando del capitano Hadelbert Homa e del tenente Toni von Tschurtschenthaler.
La notte fra il 16 ed il 17 aprile 1916, la compagnia del capitano Homa venne rilevata, salutandosi con commozione il capitano Homa disse al tenente: " Toccherà a te Toni"- "Non sarà così terribile" rispose il tenente.
Alle ore 23,30 del 17 aprile 1916 si azionò l'interruttore che fece deflagrare la mina, in un istante
200 uomini vennero ingoiati dalla montagna, solo un austriaco venne scagliato dall'esplosione a centinaia di metri di distanza in un canalone; dopo due giorni di tremende sofferenze, riuscì a rientrare nelle proprie linee, ma non fu in grado di profferire nessuna parola: per il terrore era diventato muto.

Terrificante croce apparsa sopra il Col di lana qualche tempo prima dell'esplosione, quasi un presagio.

12/10/09

anima del bosco



Ancora un post di qualche tempo fa.





Quando, girando per i boschi, passo sotto una pianta secolare, mi fermo e ho la sensazione di qualcosa di misterioso che mi avvolge.



Sotto i vecchi rami, mi sento protetto, e sereno, poi, sento il fluire del tempo che mi attraversa.


Sento che là è rimasta un po' dell' anima di tutti coloro che nel corso dei secoli si sono soffermati all'ombra della pianta e, forse nessuno lo sa, ma la pianta assorbe e imprigiona il tuo stato d'animo, le tue speranze, i tuoi dispiaceri e le tue gioie e senza bisogno di parole.


La pianta maestosa, ha visto nel corso di molti secoli il susseguirsi di eserciti che portavano fame , distruzione e dolore.
Ha visto il ciclico arrivo di epidemie che facevano strage di interi popoli e spesso, queste malattie erano al seguito degli eserciti.


Ha visto il trascorrere di anni buoni e meno buoni , condizioni atmosferiche avverse ed altre positive per i raccolti.


Tra i suoi rami milioni di uccelli si sono posati e hanno nidificato, trillando a tutto spiano all'arrivo di centinaia di primavere rallegrando il viandante.


La pianta trattiene anche il chiasso di molte generazioni di fanciulli che sotto le fronde o arrampicandosi sui rami hanno passato dei momenti felici.


Nell'essenza della pianta, sono rimasti anche i sussurri , i sospiri e i palpiti dei giovani che si affacciavano alla vita adulta e protetti dall'albero si scambiavano le prime tenerezze.


Nella ruvida scorza è rimasto anche il dolore di colui che è dovuto partire per cercare un futuro migliore per la sua famiglia e prima di andare, inconsapevolmente passa per un ultimo saluto all'albero magico; è racchiuso anche il dolore di chi ha perduto una parte della sua anima con la morte di una persona cara e in solitudine si avvicina alla pianta in cerca di conforto e non si rende conto che la pianta sa e capisce e trattiene.


Tutte queste sensazioni le sento sprigionare sotto le fronde dell'albero centenario; e quando una pianta così viene abbattuta, sento che con la sua morte se ne va anche un po' di storia dell'umanità intera e la linfa che continua a scorrere mi rende partecipe dell'essenza dell'albero che se ne va per sempre e con la linfa, anche tutti i dolori e le speranze e i ricordi che erano imprigionati e muoiono definitivamente, dopo decine e decine di anni dalla loro sepoltura, anche le persone che alla pianta avevano aperto il loro cuore.


Dedico queste righe a tutti gli amici che amano e rispettano la natura.

06/10/09

nel villaggio






Leggendo il blog di Marina,"inezie essenziali" mi sono tornate alla mente le scandole.
Le scandole sono delle assicelle di legno di larice larghe una ventina di centimetri per circa un metro di lunghezza e venivano utilizzate per la copertura dei tetti in montagna.






Fra i ricordi nostalgici della mia fanciullezza, uno dei più vividi riguarda i temporali estivi, particolarmente forti nelle ore pomeridiane del mese di giugno, quando usciva dall'inferno la madre di san Pietro, che, secondo le storie che i vecchi mi raccontavano, era una donna malvagia e per questo motivo era finita all'inferno, però in prossimità della festività dei santi Pietro e Paolo riusciva a fuggire, ma quando veniva ricacciata nelle fiamme eterne si ribellava scatenando furiosi temporali.
Durante questi temporali mi piaceva rifugiarmi nel fienile dove era stato accumulato il primo taglio della fienagione ed era una delizia scavare un foro nel fieno ed infilarsi per un sonnellino pomeridiano, anche perché col temporale non c'era la possibilità di giocare all'esterno e non c'era la TV.
Il fieno, che fermentava, emanava dei profumi incredibili, profumo di sole, di fiori, di prati, ma anche di tante fatiche e privazioni e anche serenità.
Allora, nel mio buco avvolto nel fieno , guardavo il tetto coperto di scandole e sentivo la pioggia scrosciante, mentre i tuoni si susseguivano fortissimi facendo vibrare le assi delle pareti ed i lampi si insinuavano fra le fessure a volte accecanti quando la saetta era caduta su qualche abete vicino, però in quel posto mi sentivo protetto ed al sicuro senza nessuna paura.
Altri momenti che ricordo con nostalgia, erano le serate d'inverno, quando per risparmiare la legna si passavano le serate nelle stalle, dove il riscaldamento era garantito dall'alito umido delle mucche e dal fieno che fermentava.
Ricordo la luce di una nuda lampadina da tre candele coperta dalle cacche delle mosche che emanava una luce fioca e giallastra e quando veniva accesa qualche altra lampadina un attrezzo chiamato limitatore (dei consumi), faceva lampeggiare le lampade finché una non veniva spenta.
Nella stalla c'era un odore particolare di fieno, di lettiera, di alito delle vacche, ma non era fastidioso, forse perché faceva parte della nostra vita.
Radunarsi nelle stalle era detto in dialetto: "fare filò" e raramente ricordo ci fossero degli uomini, normalmente erano le donne e qualche bambino; le donne lavoravano a maglia e passavano la serata raccontando gli ultimi petegolezzi della vita in paese, ma il pezzo forte della serata erano le storie macabre.
Queste storie raccontavano di morti ed era credenza comune che quando qualcuno veniva a mancare, pochi momenti prima del decesso, ci fosse un segnale costituito da qualche rumore inspiegabile, una signora raccontava di un giovane figlio deceduto cadendo da un tetto distante dalla casa della madre e questa signora si trovava in camera sua quando udì il rumore di una biglia che correva sopra l'armadio e lo schiocco della biglia caduta sul pavimento, ma per quante ricerche avesse fatto anche in seguito, della biglia non v'era traccia, poi arrivò qualcuno a dirle che il figlio era morto.
In altri casi raccontavano di rumori forti senza alcuna spiegazione, salvo, poi arrivare la notizia di qualche decesso di persone care e distanti.
Altri racconti, che poi ci procuravano degli incubi, parlavano di fantasmi.
Una di queste storie sentita ripetutamente da mia madre, si riferiva al racconto di suo fratello più anziano di lei di una quindicina di anni. Una notte, mentre dopo diversi mesi di lavoro all'estero tornava a casa nel villaggio di una decina di abitazioni in una radura isolata in mezzo ai boschi ed ai torrenti, dunque mentre, percorreva il lungo sentiero nel bosco, in prossimità di una grande quercia, incontrò una signora anziana di un villaggio distante con la quale scambiò poche frasi, perché la signora aveva premura.
Il giorno seguente raccontò l'episodio a mia nonna, meravigliato del fatto che questa signora si trovasse in piena notte così distante da casa sua e mia nonna lo interruppe dicendo che questa signora era morta da diversi mesi mentre lo zio era all'estero, il mistero si infittì quando mio zio raccontò ai familiari della defunta dell'incontro e di come era vestita narrando dei particolari dell'abbigliamento, i parenti riconobbero che la donna, così era stata abbigliata per l'ultimo viaggio.
In seguito a questo racconto da ragazzo, quando mi capitava di passare vicino a quella quercia al buio, allungavo il passo, ma non incontrai mai nessuno.
Questi racconti ci facevano correre i brividi lungo la schiena, mentre le mucche si giravano a guardarci con i loro grandi occhi umidi e miti e quando si giravano si sentiva il rumore della catena che scorreva nel foro della greppia e il rumore caratteristico che producevano ruminando.
Altro momento interessante era quando, frequentemente, le donne toccavano argomenti inerenti al sesso e si arrampicavano sugli specchi alludendo in maniera che i bambini non capissero di cosa si trattava, ma noi tendevamo le orecchie perché sapevamo fin troppo bene a cosa alludevano.
Poi, con il passare degli anni le stalle si sono svuotate, i fienili non sono più ricoperti dalle scandole, ma o coperti da lamiere ormai arrugginite, oppure sono diventati seconde case abitate un paio di settimane ad agosto e nel villaggio della mia infanzia, per gran parte dell'anno girano solo le volpi, i cervi, i caprioli e in questi ultimi anni anche i cinghiali, ma raramente gli uomini, solo i ricordi e le fatiche di chi non c'è più rimangono e anche il vento è più triste.

01/10/09

a scuola

Ancora ricordi di gioventù pubblicati un anno fa.

Ho frequentato le scuole elementari in un paesino della montagna veneta. Il ricordo dei primi due anni di frequentazione è abbastanza labile, (gli anni incidono la memoria), la maestra la ricordo come una persona anziana, un po' altera e severa che non disdegnava di darci qualche botta sulle dita col righello.


a quei tempi si ignoravano gli abiti firmati


Il primo giorno di scuola mi è rimasto abbastanza impresso, perché una bimba, forse intimidita dall'ambiente nuovo e severo, si era fatta la pipì addosso e a causa di questo episodio è stata oggetto per molti anni delle nostre prese in giro. L'aula era vasta, ma forse le proporzioni variavano rispetto la nostra statura; il riscaldamento era fornito da una stufa di mattoni e per la legna ; primavera tutti i genitori degli scolari dovevano recarsi nel lotto assegnato dalla guardia comunale, tagliare la legna, normalmente rami di larice e portarla alla scuola coadiuvati dai bambini.


la legna è stata tagliata e ora gli scolari la portano in soffitta

Questo era un servizio prestato gratuitamente alla collettività ed aveva anche una valenza pedagogica, poiché già all'età di sei anni, capivamo la necessità di lavorare per il bene comune, era un principio di solidarietà che poi si è perso negli anni successivi quando sopraggiunsero gli anni del boom economico. In terza elementare cambiai la maestra, anche questa era anziana tanto che agli inizi della carriera scolastica era stata anche l'insegnante di mio zio che ora sarebbe quasi centenario. Questa maestra stravedeva nei miei confronti, raccontando in più occasioni che ero stato il più intelligente che aveva avuto come allievo nella sua carriera, non vedo i motivi di questa considerazione, a parte un tema lunghissimo di una ventina di pagine, per il resto sono sempre stato nella media e anche con una resa bassa. Forse l'episodio che l'aveva colpita particolarmente, è riferito ad una poesia intitolata: "la fragola", ignoro il nome dell'autore, ricordo un verso che faceva riferimento ai "colli pistoiesi", la maestra voleva che si sostituisse il termine "pistoiesi" con un termine più attinente ai nostri luoghi e che conservasse la rima, mentre tutta la classe ponzava, a me era venuta immediatamente la sostituzione di "pistoiesi" con "bellunesi", ma mi sembrava troppo facile e poi volevo comprendesse tutte le Alpi e trasformai "pistoiesi" in "alpinesi" anche se sapevo che non era corretto, ma l'insegnante non fu di questo parere e fu così che probabilmente raggiunsi alti picchi, immeritati, nella sua considerazione. Il maestro di IV e poi di V era un personaggio particolare, lo ricordo con i baffetti e la capigliatura alla Hitler, magro, zoppo causa poliomielite e costretto ad appoggiarsi ad un bastone che mai usò come minaccia nei nostri confronti, anche se qualche volta l'avremmo meritato. La malattia avuta da bambino, probabilmente fu per lui una fortuna, perché ebbe l'occasione di studiare e poi la garanzia di un posto di lavoro di gran prestigio come insegnante, mentre il futuro di tutti i suoi coetanei era molto più duro, già all'età di otto anni erano costretti a partire a primavera per lavorare come seggiolai ambulanti, dormire su di un carretto nella paglia, solo quando erano fortunati, trovavano qualche anima buona che consentiva loro di dormire nei fienili e poi umiliazioni, fame, nostalgia, però sempre di grande dignità ed onestà nonostante la miseria. Di queste persone, penso che troverò modo di scrivere. Ritornando al maestro direi che era un grande affabulatore, anche se qualche caduta culturale si verificava ad esempio le piramidi d'Egitto secondo lui erano: di Cheope, di Chefrem e di Chisimaio, solo anni dopo ho scoperto che Kisimajo non era il nome di una piramide, ma era una città della Somalia, invece la piramide era di Mikerinos l'altra di Kefren e non di Chefrem, ma la parola del maestro a quei tempi era verità assoluta. Il suo pezzo forte era il racconto dei "Miserabili" di Victor Hugo, anche se spesso non ricordava più il nome del protagonista e allora gli dava un nome di fantasia. In rare occasioni, arrivava a scuola dopo qualche bicchiere di troppo, e quel giorno era una tragedia, seduto impalato sulla sedia, non proferiva parola e non ammetteva che da parte nostra ci fosse il minimo rumore, ogni tanto qualcuno si metteva a ridacchiare allora smorzava il malcapitato con un perentorio : "giovanotto!" oppure "signorina!" e poi silenzio assoluto. Negli altri giorni , invece , ogni tanto interrompeva lo studio per raccontarci le sue avventure giovanili, in particolare le montagne che ci circondavano erano state traforate durante le due guerre con gallerie scavate a difesa di eventuali invasioni nemiche, ( poi quando nel 1917 veramente accade, non servirono a niente e nemmeno quelle scavate dai tedeschi nella seconda guerra). La seconda guerra mondiale era terminata da pochi anni ai tempi della nostra frequentazione scolastica ed era ancora viva nei ricordi di coloro che avevano qualche anno più di noi. In queste gallerie, secondo il racconto del maestro, si trovavano ancora dei grossi depositi di armi e materiale bellico; e sempre secondo il suo racconto, alcune di queste gallerie erano allagate ed il maestro le esplorava a cavalcioni di un tronco d'albero, nel buio assoluto rotto al massimo da una candela o un ramo resinoso acceso , mentre lui in questo labirinto si muoveva come nel cortile di casa sua con indomito coraggio, mai abbiamo pensato che con la sua infermità non era in grado nemmeno di salire il campanile della chiesa, ma chi poteva dubitare della parola del maestro? Queste gallerie le ho esplorate in questi ultimi tre anni con un gruppo di amici con i quali è in corso una ricerca storica e non abbiamo mai dovuto cavalcare tronchi per attraversare tratti allagati, ma c'erano tante curve e tante scalinate, qualche rarissima voragine e molte dolorose zuccate contro le rocce, certo non usavamo candele e nemmeno torce a resina, in ogni caso in molti punti ci sono delle correnti d'aria così forti che non consentirebbero candele accese. Di quelli anni di scuola ricordo bene, la camicia di cotone nero con l'indicazione della classe frequentata scritta in numeri romani con delle fettuccine bianche cucite sulla manica sinistra come i gradi dei militari, ricordo i banchi di legno a due posti, con i calamai per l'inchiostro e gli intagli di molte annate di scolari a cui contribuimmo anche noi, di nascosto, usando i temperini. L'odore dei libri nuovi, i quaderni con le copertine nere e le tabelline sulla penultima pagina, lo stridere del gesso sulla lavagna, le macchie d'inchiostro e i pennini che avevano la cattiva abitudine di "sforcellarsi" si diceva in dialetto, cioè divaricarsi e scrivere male, la carta assorbente, poi il formaggio giallo della refezione tolto da barattoli con la scritta: "Dono del Popolo Americano degli Stati Uniti", le cartelle erano costituite da una scatola di cartone robusto di colore tra il giallastro e il mattone, munite di due cerniera per aprire la parte superiore da cui si estraevano i quaderni ed i libri, una cinghia per portarle a tracolla e in un triangolo la scritta "pura fibra" e le liti furibonde con i compagni per rivendicare di possedere la cartella di miglior qualità: "perché la mia è pura fibra" si diceva, invece erano tutte uguali, nuove all'inizio dell'anno e poi alla prima neve servivano egregiamente da surrogato allo slittino, anche se si sfasciavano presto e poi a casa sberle! Qualche famiglia non poteva permettersi neppure la cartella di cartone e in tal caso, veniva sostituita da una borsa di stoffa con tracolla, cucita dalla madre, recuperando, normalmente, il fustagno di un paio di pantaloni vecchi e sbrindellati. Ricordo gli sguardi furtivi dalle finestre, quando alla fine di novembre i prati erano imbiancati dalla prima neve e si pregustavano le uscite pomeridiane con la slitta, le prime discese folli dai pendii innevati, le prime di una lunga stagione invernale quando la neve cadeva in abbondanza. Alla fine di tutta la storia, credo che la formazione scolastica, sia stata buona e ci sia servita da trampolino per un futuro migliore di quello che era toccato ai nostri genitori.



e alla fine si gioca sulla neve , si ignorava il freddo e andavano bene pure i calzoncini.