25/02/15

plenilunio


... la luna del plenilunio nel cielo,
inonda la terra con la sua luce...
Saffo

26/02/12

Ricordo del Toni B.

Anche questa è una riproposizione: il ricordo dci una persona particolare scomparsa ormai da decenni, ma sempre presente nel ricordo di chi ha conosciuto Toni B.



Girava per il paese quasi sempre sbraitando contro i monelli che lo facevano arrabbiare urlando BUUUMM.
Era un personaggio caratteristico, credo fosse nato tra la fine dell'800 e i primi del 900, si dichiarava comunista in un paese dove la DC aveva percentuali bulgare, nella sua povera casa in un quadro teneva l'epigrafe di Giuseppe Stalin morto una decina di anni prima inoltre era molto orgoglioso di un paio di libri molto vecchi, probabilmente del 700 che erano scritti con la effe per esse come diceva lui.
Si chiamava Toni e dichiarava di essere lui l'inventore della bomba atonica come la chiamava e per questo motivo noi ragazzacci urlavamo bum quando lo intravedevamo.
Era molto suggestionabile e con una certa cattiveria tutti lo facevano arrabbiare, era sufficiente che una persona di cui lui aveva fiducia intavolasse qualche argomento strano per infiammarlo e qualche altro poi contestava le sue argomentazioni, perché perdesse le staffe e incominciasse ad urlare.

Scagliava degli anatemi contro chi lo contrastava, il più frequente secondo lui in latino, ( che sicuramente qualcuno gli aveva suggerito) , diceva: Galles galestrum fecisti trimare pilastrum che tradotto dal maccheronico avrebbe significato: Gallo galestro facesti tremare il pilastro, però lui era convinto trattarsi di un potente anatema e un altro era: Nano fra i nani della famiglia dei nani fuggi da questo locale o ti faccio assaggiare il sapore di un nodoso randello di montagna, e questo era probabilmente suo.
Oggi il comportamento tenuto da tutti nei suoi confronti non sarebbe assolutamente accettabile, ma cinquant'anni fa nessuno pensava di fargli del male facendolo arrabbiare.
Toni era molto attento alle innovazioni tecnologiche e ispirato da qualcuno, una volta decise di inventare il paracadute, salì con un grosso ombrello sul tetto di una chiesetta, il problema sorse, raccontano, quando gli mancò il coraggio di saltare da un'altezza di tre/quattro metri, ma titubante arretrò e purtroppo scivolò oltre l'orlo, forse saltando l'ombrello avrebbe un po' ammortizzato la caduta, ma scivolando lungo il muro rimase impigliato a mezz'aria in uno spuntone sporgente, poi la caduta rovinosa dopo lo strappo del vestito impigliato, con grande sollazzo di coloro che assistevano all'invenzione del paracadute.
Durante la guerra andò a lavorare per i tedeschi con l'organizzazione Todt come erano costretti a fare tutti gli uomini che non erano in guerra, tutti sapevano che il Toni era antifascista e qualche imbecille, mentre si arrampicavano sulla montagna dove scavavano delle gallerie, pensò bene di attaccargli un gagliardetto fascista sulla cassetta di dinamite che portava sulle spalle, quando si accorse del simbolo fascista, perse la testa e scagliò la cassetta lontano, per sua fortuna anche i tedeschi lo conoscevano e ridevano di lui e si limitarono a prenderlo a calcioni finché recuperò la cassa.
Ci sarebbe da riempire un volume di duemila pagine con le sue avventure inesauribili, ma mi limiterò a raccontare ancora due aneddoti.
Venne un tempo che si interessò delle proprietà curative delle erbe, però si infuriava se qualcuno gli diceva che era botanico, perché sosteneva che il botanico costruiva le botti, mentre un intenditore di erbe era un erbivoro.
Capitò che una sera mentre era all'osteria, entrò nel locale un "moleta" ( termine col quale si definiva un arrotino ambulante), il moleta ed il Toni cominciarono a conversare e Toni, che in quel periodo era interessato alle erbe, sciorinò tutto il suo sapere, mentre il moleta ascoltava con grande interesse e ad un certo punto della conversazione l'arrotino guardando il Toni con rispetto gli disse" ma allora voi siete un  botanico!"
All'esplosione d'ira del Toni il poveretto guadagnò velocemente l'uscita terrorizzato, lui non sapeva la differenza tra botanico ed erbivoro inoltre non sapeva nemmeno che la persona che aveva di fronte era assolutamente innocua.
Per finire, negli anni sessanta edificarono un ospedale nella vicina cittadina e il nostro amico era diventato un cliente, un po' per i malanni dell'età, un po' perché un primario si divertiva con lui e un po' perché all'ospedale rimediava qualche attenzione; in quelli anni cominciarono a circolare le prime radio a transistor e lui era stato uno dei primi ad acquistarne una e girava per il paese con questa voluminosa radio.
Un giorno che non si sentiva troppo bene in salute, andò al posto telefonico pubblico e chiamò un'ambulanza per farsi ricoverare all'ospedale, solo che quando giunse all'ospedale si accorse di essersi dimenticato la radio a casa, fu così che si autodimise,  e  con la corriera, (così si chiamava l'autobus a quei tempi), tornò a casa, recuperò la radio e sempre con la corriera tornò all'ospedale per il ricovero d'urgenza.
A distanza di tanti anni, Toni è sempre ben presente nei miei ricordi, ( molto numerosi a suo riguardo), anch'io qualche volta gli ho mancato di rispetto,e ora me ne dolgo, ma ora ho una sensibilità diversa, spero che se il suo spirito vaga da qualche parte, non me ne abbia e si faccia un sorriso per questi miei ricordi.

15/06/11

fienagione

Ripropongo un post di qualche tempo fa:





Nel mio paese le attività che potevano garantire un piatto di polenta o di minestra erano scarse; a 1000 metri sul livello del mare non sono grandi le possibilità offerte dalla terra.
In quasi tutte le famiglie tenevano nella stalla una o due mucche e le mucche garantivano il companatico a prezzo di grandi fatiche; "strùssie" erano chiamate in dialetto.
I l latte era il prodotto della mungitura e dal latte si ricavava principalmente il formaggio che era una riserva di proteine ed inoltre riposto sugli scaffali della cantina era una riserva alimentare che si accompagnava con tutto, dalla polenta alle patate lesse, dal radicchio al pane, anche se in verità il pane, fino agli anni 50, compariva raramente sulle tavole, perché il grano non si poteva produrre in loco, ma bisognava acquistarlo e non sempre, anzi raramente, c'erano i soldi.
Poi oltre, al formaggio, dal latte si ricavava il burro ed il burro era, in pratica, l'unico grasso usato in cucina, oltre un po' di lardo quando macellavano il maiale; l'olio era praticamente sconosciuto.
Le vacche venivano alimentate col fieno e la fienagione era un'attività che occupava tutta la bella stagione.
Si incominciava a primavera a curare i prati, in pratica bisognava asportare le pietre sollevate dalle talpe e che si erano accumulate durante l'inverno, allora si rastrellava il prato ed il materiale raccolto, si versava in qualche anfratto o nei torrenti, (non c'era pericolo di inquinamenti era tutto materiale ecologico).
La fase successiva, consisteva nel concimare i prati e per questa operazione si usava il letame delle mucche lasciato fermentare in cumuli, poi si caricava nella gerla e si portava nei prati, anche distanti ore di strada.
Queste operazioni erano a carico della donne, poiché gli uomini e i ragazzi dopo gli otto anni, partivano col carretto a primavera per andare a centinaia di chilometri di distanza ad offrire la loro opera di seggiolai ambulanti.
Quando poi arrivava il mese di giugno, incominciava la fienagione.
La prima operazione da fare era il taglio dell’erba, questo lavoro di solito era eseguito dagli anziani,
più raramente da qualche emigrante che rientrava qualche giorno per questo lavoro.
Il taglio dell’erba, iniziava che era ancora notte, perché l’erba umida di rugiada era più facile da tagliare, e il falciatore proseguiva scendendo il declivio con movimenti semirotatori tagliando una trentina di centimetri ogni falciata;





ogni due o tre minuti doveva rifare il filo alla falce usando allo scopo una pietra di arenaria che portava nel portacote, che era un tronchetto scavato, (e lavorato artisticamente durante i mesi invernali), terminava aguzzo e in dialetto era chiamato ”coder” perché veniva portato dietro, agganciato alla cintura.
Dopo il sorgere del sole arrivavano le donne le quali ( precedentemente erano andate ad accudire e mungere le mucche) assieme ai ragazzi dovevano spargere l’erba in maniera uniforme perché seccasse al sole, questa operazione si faceva con le mani, oppure usando una forca con due punte.
Finite queste operazione era ora di pranzo e se i prati erano vicino alle abitazioni, si ritornava a casa, altrimenti arrivava qualche donna con la polenta calda e il companatico portati in una gerla.
Il pasto si consumava scrutando le nubi che nelle ore più calde del giorno si ammassavano e l’ occhio esperto del montanaro riconosceva anche il più piccolo batuffolo che in poco tempo si sarebbe trasformato in temporale, allora era necessario ammucchiare velocemente il fieno, perché non si bagnasse; se, invece, era una bella giornata estiva, bisognava girare il fieno, perché si seccasse anche dall’altra parte, questa operazione si faceva col rastrello, nuova pausa fino al tramonto e questo tempo era dedicato ai giochi se bambini e alle chiacchiere fra adulti.
A sera si facevano dei cumuli chiamati “mar”, in questo modo l’umidità della notte non avrebbe fatto marcire il fieno parzialmente secco.
La mattina successiva taglio dell’erba in un altro prato e tutte le operazioni del giorno precedente sia con l’erba appena tagliata, sia con quella quasi secca.
Alla sera di nuovo i cumuli, mentre il fieno ormai secco si portava nel fienile, a questo scopo si stendevano sul terreno due corde lunghe circa 3 metri a una quarantina di centimetri di distanza e sopra queste corde si ponevano delle bracciate di fieno, indi quando il mucchio era consistente, dai 30 ai 50 kg. secondo la distanza da percorrere si stringevano le corde, veniva allargato il fieno in modo da creare una fossa dove introdurre la testa, attorno a questo buco, attorcigliando del fieno, si creava un supporto per distribuire il peso anche sulle spalle, poi chi era destinato a portare a casa il fieno, si chinava, introduceva la testa nel foro, una o due persone dalla parte opposta alzavano “ il fascio” ( così veniva chiamato) e via verso la stalla, a volte la percorrenza era anche di un paio d’ore, in quei casi si sapeva dove lungo il tragitto si potevano trovare dei muretti alla giusta altezza per posare il carico e dopo il riposo riprenderlo senza l’aiuto di nessuno.
La sera , dopo la cena, un rumore caratteristico veniva dai falciatori che dovevano rifare il filo alla falce e per questa operazione usavano un attrezzo di ferro lungo una quarantina di centimetri che veniva conficcato nel terreno, sulla sommità di questo attrezzo un supporto consentiva di appoggiare il filo della falce e col martello apposito si batteva sul filo per raddrizzare tutte le irregolarità che si erano create urtando sassi, rami o paletti di confine nascosti dall’erba alta, il tutto accompagnato dal suono ritmico del martello che batteva.
La fienagione era molto faticosa, ma indispensabile per garantire l’approvvigionamento invernale di fieno e per questa ragione il primo taglio di fieno veniva raccolto anche sulle montagne distanti da casa, il taglio cominciava nei primi giorni di giugno nei prati attorno alle case, per poi allontanarsi fino ad arrivare ai pascoli di montagna, in seguito l’erba vicino alle case era ricresciuta e si provvedeva ad un nuovo taglio ed a volte anche un terzo taglio, mo solo nelle vicinanze delle stalle.





Questa era la dura vita dei montanari, ora , dopo il boom degli anni sessanta e la disastrosa alluvione del 1966, i borghi sperduti fra i monti, sono stati abbandonati, il terreno incolto è diventato bosco; il bosco stesso non più curato è diventato boscaglia, nei centri abitati, rimane qualche persona anziana che, nel limite delle sue forze, cerca ancora di preservare quello che ha ricevuto dalle molte generazioni che si sono susseguite prima di lei, ma la lotta è impari.


06/09/10

Sakineh libera


Sull'assenza che non desidera
Sulla nuda solitudine

Sui sentieri della morte
Io scrivo il tuo nome

Sul rinnovato vigore
Sullo scomparso pericolo
Sulla speranza senza ricordo
Io scrivo il tuo nome

E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.

Paul Eluard

08/07/10


Sui pascoli del Monte Grappa:  scena bucolica.



Un elicottero ronza fra le valli
Splendida fioritura di gigli martagoni


e di gigli di san Giovanni

e a sud-ovest verso il Col Moschin


cessate di uccidere i morti...


fra i caduti anche Peter Pan


dall' osservatorio verso il sacello del Grappa

A poca distanza dall'ossario che custodisce i Caduti della Grande Guerra il monumento al Partigiano a ricordo dei Partigiani caduti sul Grappa nel settembre 1944; nella galleria che si intravede a sinistra a lato della spaccatura nella roccia una lapide: A ricordo dei sette partigiani bruciati vivi in questa galleria dai lanciafiamme degli oppressori nazisti.
Accanto al monumento un'altra lapide ricorda la lettera di Marco Citton di anni 19, fucilato il 29 agosto 1944:
... la mia sorte sembra ormai decisa, le ore che forse ancora mi rimangono sono poche.
Esortate tutti i miei compagni affinché mai abbandonino la giusta via...

Ritornando alla Grande Guerra: una lapide sulla vetta del monte Pertica ricorda i 37 ufficiali e  gli 851 soldati italiani  caduti e gli oltre 2.500 feriti dal 24 al 29 ottobre 1918 per la conquista della cima. Ignoto il numero dei morti austro-ungarici.
Dalla cima del Pertica, si vede la salita priva di qualsiasi riparo lungo la quale salirono i militari italiani per conquistare la cima, dopo 92 anni si vedono ancora gli sconvolgimenti provocati dagli intensi bombardamenti dove migliaia di giovani di ambo le parti immolarono la loro vita fra terrore e patimenti indicibili, ma per i re e i loro generali le vite di tanta gioventù non avevano nessun  valore.

Alla fine la vita ritorna in una delicata maternità

e la vita vince!

25/01/10

giorno della memoria



Quando i nazisti vennero per i comunisti,
io rimasi in silenzio: Non ero comunista.

Quando rinchiusero i socialdemocratici,
restai in silenzio: Non ero socialdemocratico.

Quando vennero per i sindacalisti,
io non feci udire la mia voce: Non ero sindacalista. 

Quando vennero per gli ebrei,
rimasi in silenzio: Non ero un ebreo.

Quando vennero per me,
non era rimasto più nessuno
che potesse far sentire la mia voce. 


(versi attribuiti a Bertold Brecht, ma tratti probabilmente da un discorso di Martin Niemoeller al termine della seconda guerra mondiale. Martin Niemoellerer un pastore protestante tedesco oppositore del nazismo, internato in vari campi di concentramento fra i quali Dachau) 

23/01/10

Guido Rossa 24 gennaio

Ad un anno di distanza dal precedente post, pubblico nuovamente un omaggio a quel grande uomo ed eroe che è stato Guido Rossa.




"Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità.
Io ho fatto il mio dovere e ho riferito quanto ho visto"




Voglio rendere omaggio ad un eroe dei nostri tempi: Guido Rossa.
Caduto sotto il piombo delle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979.


Con il suo sacrificio si determinò una rottura fra le Brigate Rosse e la classe operaia all'interno delle fabbriche, dove le Brigate Rosse non trovarono più accoglienza e la storia di quei tristi anni cambiò.



Medaglia d'oro al valor civile

«Sindacalista componente del consiglio di fabbrica di un importante stabilimento industriale, costante nell'impegno a difesa delle istituzioni democratiche e dei più alti ideali di libertà. Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare a fini di giustizia nella lotta contro il terrorismo e cadeva sotto i colpi d'arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da appartenenti ad organizzazioni eversive. Mirabile esempio di spirito civico e di non comune coraggio spinti fino all'estremo sacrificio.
Genova, 24 gennaio 1979.»


Guido Rossa era stato un fortissimo scalatore, ma volle rinunciare all' "andar sui sassi", amareggiato dallo scarso impegno sociale di molti rocciatori; molto toccante questa lettera di addio all'alpinismo che pubblico col consenso della figlia: l' Onorevole Sabina Rossa.







Caro Ottavio
L' indifferenza, il qualunquismo e l'ambizione che dominano nell'ambiente alpinistico in genere, ma soprattutto in quello genovese, sono tra le squallide cose che mi lasciano scendere senza rimpianto la famosa lizza della mia stazione alpina.
Da parecchi anni ormai mi ritrovo sempre più spesso a predicare agli amici, l' assoluta necessità di trovare un valido interesse nell'esistenza, che si contrapponga a quello quasi inutile ( e non nascondiamocelo, forse anche a noi stessi) dell'andar sui sassi.
Che ci liberi dal vizio di quella droga che da troppi anni ci fa sognare e credere semidei o superuomini chiusi nel nostro solidale egoismo, unici abitanti di un pianeta senza problemi sociali, fatto di liscie e sterili pareti sulle quali possiamo misurare il nostro orgoglio virile, il nostro coraggio, per poi raggiungere (meritato) un paradiso di vette pulite, perfette e scintillanti di netta concezione tolemaica, dove per un attimo o per sempre, possiamo dimenticare di essere gli abitati di un mondo colmo di soprusi e di ingiustizie, di un mondo dove un abitante su tre vive in uno stato di fame cronica, due su tre sono sottoalimentati e dove su sessanta milioni di morti all' anno, quaranta muoiono di fame!
Per questo penso, anche noi dobbiamo finalmente scendere giù in mezzo agli uomini a lottare con loro, allargando fra tutti gli uomini la nostra solidarietà che porti al raggiungimento di una maggiore giusizia sociale, che lasci una traccia, un segno, tra gli uomini di tutti i giorni e ci aiuti a rendere valida l' esistenza nostra e dei nostri figli.
Ma probabilmente queste prediche le rivolgo soprattutto a me stesso, perché anche se fin dall' età della ragione l'amore per la giustizia sociale e per i diritti dell' uomo sono stati per me il motivo dominante, fin' ora ho speso pochissime delle mie forze per attuare qualche cosa di buono in questo senso (......).
L'Italia con i suoi gravi contrasti presenta una situazione politica particolare (......), io penso che il compito nostro non sia quello di elaborare modelli della società (.....).
Da poco mi hanno eletto con regolari votazioni delegato di reparto. Inizia qui e probabilmente finisce la mia carriera di sindacalista.
Avrei voluto rimanerne fuori, ma mi hanno messo alle strette, dico che parlarne solo non basta! E fin dal primo giorno sono partito all'attacco, tanto per tre o quattro anni non potranno buttarmi fuori....
Genova, 15 febbraio 1970






Io levo gli occhi verso le montagne...