30/11/08

Vajont

Qualche giorno fa sono andato in visita alla tristemente famosa diga del Vajont.
La diga terminata alla fine degli anni 50 al termine dei lavori era considerata la diga più alta del mondo con i suoi 264,60 metri di altezza.



Nella foto sopra, si vede l'ingresso della galleria di servizio, lunga oltre 500 metri.


Nell'immagine sopra, i finestroni all'ingresso della galleria.







In questa immagine, si vede
lo scarico di fondo della diga e
la sommità della diga.








Nella foto : La valle del Vajont dal ponte Tubo.

















Sopra: La diga dal
ponte Tubo, a questo punto
si vedono circa 100 metri di diga, dal ponte alla base della diga c'è ancora un dislivello di circa 160 metri.




La valle del Vajont dal ponte Tubo, la cascata che si vede a destra è lo scarico di fondo della diga.











Il ponte Tubo












La diga vista dal ponte.












All'interno della diga,
il tubo passa sotto la frana e
questo tubo ha una portata di acqua verso la centrale di Soverzene di 50 metri cubi al secondo.





La sommità della diga, le rocce che si vedono dietro,
sono della frana che precipitò
nel lago la sera del 9 ottobre 1963 alle ore 22,39.



Il fronte della frana è lungo circa 2 km; la massa precipitata nel lago alla velocità di circa 90 km/h era di 270 milioni di metri cubi di terra e sollevò sopra la diga un'onda di oltre 100 metri fino alle prime case del paese di Casso, poi l'acqua si infilò nella strettissima valle del Vajont 370 metri più in basso e piombò sul paese di Longarone situato allo sbocco della valle a circa tre km di distanza, in un tempo di circa tre minuti; all'uscita della valle il muro d'acqua era alto circa 70 metri.


L'acqua che trascinava con se fra le altre cose, macigni di diverse tonnellate, terra e tronchi d'albero, era preceduta da un vento furioso.
Le vittime della tragedia sono state stimate in 1910, molti corpi non sono mai stati trovati.





La sommità della diga.
La diga ha retto perfettamente
all'urto dell'acqua e in questa foto si vede che solo una minima parte della corona è
stata asportata.






In questa foto si vede la valle del Vajont e in fondo il
ricostruito paese di Longarone.
Le luci che si vedono a destra
sulla montagna, sono i finestroni della galleria sulla strada che da Longarone percorre la Valcellina verso la pianura friulana.
Un pensiero per tutte quelle vittime, sacrificate dalla cupidigia umana.
PS: Nonostante abbia cercato di documentarmi accuratamente, è possibile che sia incorso in qualche errore; nell'eventualita chiedo di scusarmi.












27/11/08

scolaro


Ho frequentato le scuole elementari in un paesino della montagna veneta.
Il ricordo dei primi due anni di frequentazione è abbastanza labile, (gli anni incidono la memoria), la maestra la ricordo come una persona anziana, un po' altera e severa che non disdegnava di darci qualche botta sulle dita col righello.
Il primo giorno di scuola mi è rimasto abbastanza impresso, perché una bimba, forse intimidita dall'ambiente nuovo e severo, si era fatta la pipì addosso e a causa di questo episodio è stata oggetto per molti anni delle nostre prese in giro.
L'aula era vasta, ma forse le proporzioni variavano rispetto la nostra statura; il riscaldamento era fornito da una stufa di mattoni e per la legna, come ho già scritto in un altro post, a primavera tutti i genitori degli scolari dovevano recarsi nel lotto assegnato dalla guardia comunale, tagliare la legna, normalmente rami di larice e portarla alla scuola coadiuvati dai bambini. Questo era un servizio prestato gratuitamente alla collettività ed aveva anche una valenza pedagogica, poiché già all'età di sei anni, capivamo la necessità di lavorare per il bene comune, era un principio di solidarietà che poi si è perso negli anni successivi quando sopraggiunsero gli anni del boom economico.
In terza elementare cambiai la maestra, anche questa era anziana tanto che agli inizi della carriera scolastica era stata anche l'insegnante di mio zio che ora sarebbe quasi centenario.
Questa maestra stravedeva nei miei confronti, raccontando in più occasioni che ero stato il più intelligente che aveva avuto come allievo nella sua carriera, non vedo i motivi di questa considerazione, a parte un tema lunghissimo di una ventina di pagine, per il resto sono sempre stato nella media e anche con una resa bassa.
Forse l'episodio che l'aveva colpita particolarmente, è riferito ad una poesia intitolata: "la fragola", ignoro il nome dell'autore, ricordo un verso che faceva riferimento ai "colli pistoiesi", la maestra voleva che si sostituisse il termine "pistoiesi" con un termine più attinente ai nostri luoghi e che conservasse la rima, mentre tutta la classe ponzava, a me era venuta immediatamente la sostituzione di "pistoiesi" con "bellunesi", ma mi sembrava troppo facile e poi volevo comprendesse tutte le Alpi e trasformai "pistoiesi" in "alpinesi" anche se sapevo che non era corretto, ma l'insegnante non fu di questo parere e fu così che probabilmente raggiunsi alti picchi, immeritati, nella sua considerazione.
Il maestro di IV e poi di V era un personaggio particolare, lo ricordo con i baffetti e la capigliatura alla Hitler, magro, zoppo causa poliomelite e costretto ad appoggiarsi ad un bastone che mai usò come minaccia nei nostri confronti, anche se qualche volta l'avremmo meritato.
La malattia avuta da bambino, probabilmente fu per lui una fortuna, perchè ebbe l'occasione di studiare e poi la garanzia di un posto di lavoro di gran prestigio come insegnante, mentre il futuro di tutti i suoi coetanei era molto più duro, già all'età di otto anni erano costretti a partire a primavera per lavorare come seggiolai ambulanti, dormire su di un carretto nella paglia, solo quando erano fortunati, trovavano qualche anima buona che consentiva loro di dormire nei fienili e poi umiliazioni, fame, nostalgia, però sempre di grande dignità ed onestà nonostante la miseria.
Di queste persone, penso che troverò modo di scrivere.
Ritornando al maestro direi che era un grande affabulatore, anche se qualche caduta culturale si verificava ad esempio le piramidi d'Egitto secondo lui erano: di Cheope, di Chefrem e di Chisimaio, solo anni dopo ho scoperto che Kisimajo non era il nome di una piramide, ma era una città della Somalia, invece la piramide era di Mikerinos e l'altra di Kefren e non di Chefrem, ma la parola del maestro a quei tempi era verità assoluta.
Il suo pezzo forte era il racconto dei "Miserabili" di Victor Hugo, anche se spesso non ricordava più il nome del protagonista e allora gli dava un nome di fantasia.
In rare occasioni, arrivava a scuola dopo qualche bicchiere di troppo, e quel giorno era una tragedia, seduto impalato sulla sedia, non proferiva parola e non ammetteva che da parte nostra ci fosse il minimo rumore, ogni tanto qualcuno si metteva a ridacchiare allora smorzava il malcapitato con un perentorio : "giovanotto!" oppure "signorina!" e poi silenzio assoluto.
Negli altri giorni , invece , ogni tanto interrompeva lo studio per raccontarci le sue avventure giovanili, in particolare le montagne che ci circondavano erano state traforate durante le due guerre con gallerie scavate a difesa di eventuali invasioni nemiche, ( poi quando nel 1917 veramente accade, non servirono a niente e nemmeno quelle scavate dai tedeschi nella seconda guerra).
La seconda guerra mondiale era terminata da pochi anni ai tempi della nostra frequentazione scolastica ed era ancora viva nei ricordi di coloro che avevano qualche anno più di noi.
In queste gallerie, secondo il racconto del maestro, si trovavano ancora dei grossi depositi di armi e materiale bellico; e sempre secondo il suo racconto, alcune di queste gallerie erano allagate ed il maestro le esplorava a cavalcioni di tronco d'albero, nel buio assoluto rotto al massimo da una candela o un ramo resinoso acceso , mentre lui in questo labirinto si muoveva come nel cortile di casa sua con indomito coraggio, mai abbiamo pensato che con la sua infermità non era in grado nemmeno di salire il campanile della chiesa, ma chi poteva dubitare della parola del maestro?
Queste gallerie le ho esplorate in questi ultimi tre anni con un gruppo di amici con i quali è in corso una ricerca storica e non abbiamo mai dovuto cavalcare tronchi per attaversare tratti allagati, ma c'erano tante curve e tante scalinate, qualche rarissima voragine e molte dolorose zuccate contro le roccie, certo non usavamo candele e nemmeno torce a resina, in ogni caso in molti punti ci sono delle correnti d'aria così forti che non consentirebbero candele accese.
Di quelli anni di scuola ricordo bene, la camicia di cotone nero con l'indicazione della classe frequentata scritta in numeri romani con delle fetuccine bianche cucite sulla manica sinistra come i gradi dei militari, ricordo i banchi di legno a due posti, con i calamai per l'inchiostro e gli intagli di molte annate di scolari a cui contribuimmo anche noi, di nascosto, usando i temperini.
L'odore dei libri nuovi, i quaderni con le copertine nere e le tabelline sulla penultima pagina, lo stridere del gesso sulla lavagna, le macchie d'inchiostro e i pennini che avevano la cattiva abitudine di "sforcellarsi" si diceva in dialetto, ciè divaricarsi e scrivere male, la carta assorbente, poi il formaggio giallo della refezione tolto da barattoli con la scritta: "Dono del Popolo Americano degli Stati Uniti", le cartelle erano costituite da una scatola di cartone robusto di colore tra il giallastro e il mattone, munite di due cerniera per aprire la parte superiore da cui si estraevano i quaderni ed i libri, una cinghia per portarle a tracolla e in un triangolo la scritta "pura fibra" e le liti furibonde con i compagni per rivendicare di possedere la cartella di miglior qualità: "perché la mia è pura fibra" si diceva, invece erano tutte uguali, nuove all'inizio dell'anno e poi alla prima neve servivano egregiamente da surrogato allo slittino, anche se si sfasciavano presto e poi a casa sberle!
Qualche famiglia non poteva permettersi neppure la cartella di cartone e in tal caso, veniva sostituita da una borsa di stoffa con tracolla, cucita dalla madre, recuperando, normalmente, il fustagno di un paio di pantaloni vecchi e sbrindellati.
Ricordo gli sguardi furtivi dalle finestre, quando alla fine di novembre i prati erano imbiancati dalla prima neve e si pregustavano le uscite pomeridiane con la slitta, le prime discese folli dai pendii innevati, le prime di una lunga stagione invernale quando la neve cadeva in abbondanza.
Alla fine di tutta la storia, credo che la formazione scolastica, sia stata buona
e ci sia servita da trampolino per un futuro migliore di quello che era toccato ai nostri genitori.

24/11/08

Donna



...la perfezione delle tue braccia
aggiungerebbe gloria allo splendore
d'un re, con la loro carezza,
ma tu le usi per spazzare la polvere
e pulire la tua umile casa,
e perciò sono pieno di stupore.

(Rabindranath Tagore da" il giardiniere")


Dedicato a tutte le donne



22/11/08

Bosco



Vorrei donare agli amici
il profumo del bosco;
assaporare un sorso di pura e fresca acqua di sorgente ,





ammirare la crescita dei funghi e riempire i polmoni e lo spirito con la fragranza della resina e dell'humus del sottobosco,





ascoltare il gorgoglio dell'acqua che scorre limpida, mentre dagli alberi si ode il trillare di una moltitudine di uccellini.

e, alla fine, giungere alla minuscola baita proprio mentre cominciano a cadere i primi grossi goccioloni del temporale, pregustando uno scoppiettante fuocherello acceso, soli e sereni con i propri pensieri.

17/11/08

I VINCITORI


Pur vivendo in una cittadina di provincia, ho avuto la fortuna di conoscere molte persone straordinarie e di molte ho pure avuto l'onore di una salda amicizia.
Vorrei soffermarmi su un episodio che ha per protagonista un comandante partigiano.
Era una persona modesta, ma di forte carisma e nonostante l'età di un'acutezza straordinaria nel capire prima degli altri quale era la strada da seguire.
Iscritto al partito comunista fin da ragazzo e quando gli chiesi come mai lui, cresciuto in uno sperduto paese di montagna, potesse essere di fede comunista negli anni 30 in piena era fascista, lui mi raccontò che nel primo decennio del 1900 era arrivata nel paese una nobildonna russa (era Angelica Balabanov, esiliata dallo zar per le sue idee rivoluzionarie); questa nobildonna radunò attorno a sé le ragazzine del paese dando loro istruzione in quegli anni che l'analfabetismo era la norma.
Fra queste ragazzine c'era pure la madre del mio amico e fu così che lui assorbì le idee rivoluzionarie dalla mamma.
Fondatore nel settembre 1943 del primo gruppo di partigiani della provincia di Belluno, venne arrestato nel novembre del 43 ed imprigionato nel carcere di Belluno.
La provincia di Belluno era stata annessa al III Reich nella regione Alpenvorland alle dirette dipendenze di un Gauleiter, pertanto al posto dei fascisti, erano subentrati i tedeschi ( i fascisti avevano un ruolo molto marginale).
Nella primavera del 1944, molti erano i partigiani imprigionati nel carcere di Belluno e oltre il mio amico, anche il comandante militare delle brigate partigiane era stato catturato.
I partigiani decisero di liberarli con un audace colpo di mano.
La sera del 15 giugno 1944 una trentina di uomini scortati da partigiani travestiti da tedeschi fra cui spiccavano dei partigiani russi alti e biondi come i crucchi,
si avvicinarono al carcere e giunti davanti al portone intimarono ai carabinieri di aprire, questi aprirono convinti che i tedeschi avessero portato dei prigionieri catturati e, invece,si trovarono davanti alle armi spianate dei partigiani.
Dopo aver isolato le comunicazioni del carcere vennero liberati settantatre detenuti fra cui alcuni condannati a morte.
Quell'episodio rimase nella storia, noto come "La beffa di Baldenich" dal nome del carcere.
Ritornato a combattere fra i monti, si trovò al centro di un episodio che vide l'eccido di un gruppo di fascisti.
I partigiani si erano trovati ad affrontare un attacco tedesco che riuscirono a respingere, catturando una cinquantina di fascisti in divisa SS e qualche tedesco.
Le trattative fatte col comando tedesco per uno scambio di prigionieri si risolsero solamente con la liberazione dei tedeschi, quanto ai loro collaboratori fascisti in divisa SS, i tedeschi risposero che non gli interessavano e i partigiani ne facessero quello che volevano.
Il comando partigiano decise per l'eliminazione dei fascisti poiché non potevano gestirli in quel momento cruciale della guerra e liberarli significava ritrovarseli ancora davanti come era già accaduto altre volte in passato quando i partigiani, non potendo metterli in carcere, avevano liberato delle spie catturate e queste erano ritornate subito sul posto guidando le SS per la rappresaglia con conseguente morte o tortura di partigiani e incendi di case e brutali uccisioni di civili.
Al mio amico, venne dato il comando della triste operazione, della quale si assunse pubblicamente ogni responsabilità, purtroppo questa era la guerra e certi episodi che oggi possono essere discutibili in quel periodo erano visti con l'ottica della sopravvivenza: "o me o te!"
Una mattina incontrai in piazza il mio amico che era sempre contento d'incontrarmi ed accettò volentieri il mio invito per un aperitivo, anch'io lo vedevo sempre con grande piacere, perché avevo sempre molto da imparare da una persona di grande carisma.
Seduti al tavolino di un bar (era l'estate del 1994), nella piazza dove ai lampioni erano stati impiccati quattro partigiani nel marzo del 1945 per una rappresaglia tedesca, parlando del più e del meno, il discorso cadde sui seguaci di Mussolini che erano tornati al potere dopo cinquant'anni col I° governo Berlusconi, e lui mi raccontò un episodio accaduto sul finire della guerra; dunque, stava ritornando a casa nel paese dove abitava, come mezzo di trasporto, stava utilizzando una scassatissima bicicletta con i copertoni quasi inesisteneti tanto erano logori.
Giunto all'inizio di una ripida discesa in prossimità della villa dove un paio di anni prima c'era stato un convegno fra Hitler e Mussolini, scoppiò con un gran botto un copertone della bicicletta ed immediatamente si materializzarono i miliziani che facevano la guardia alla villa dove in quel momento si trovavano ospiti alti rappresentanti della repubblica di Salò.
Immediatamente il mio amico venne fermato e portato alla villa; lui, mi raccontò, che era vestito come si usava allora con i pantaloni alla zuava, larghissimi ed allacciati sotto le ginocchia con un grande sbuffo all'altezza di queste.
All'interno di questi sbuffi aveva introdotto un grande quantitativo di ciclostilati della Resistenza, che stava portando al paese per la distribuzione.
I miliziani lo portarono subito di fronte a quello che lui definì: "il più grande caporione della milizia", questi cominciò ad interrogarlo chiedendogli chi fosse e il mio amico gli rispose che era un soldato in convalescenza, rimpatriato per ferite dall'Albania.
Il gerarca capì immediatamente di essere di fronte ad un partigiano ed allora cavò il portafogli dalla tasca, e da questi estrasse un foglio che fece vedere al mio amico: era la ricevuta di un versamento fatto alla Resistenza di Venezia.
Il mio amico mestamente disse: "Io in guerra ho dovuto uccidere delle persone, perché la scelta era uccidere o essere uccisi, ma in quel momento ho capito che quelli che avevo ucciso erano solo dei poveri disgraziati come me, mentre i caporioni che li mandavano a morire, sarebbero sempre ritornati e ora sono ancora quà".
Alla fine della guerra divenne funzionario prima del PCI e successivamente della CGIL; significativo un episodio che lo riguarda come funzionario del partito; come resposabile della comissione quadri gli venne chiesto da Roma di esprimere un giudizio su se stesso e su gli altri funzionari, di se scrisse:" Sarto, volenteroso, molto attaccato al Partito; carattere un po' chiuso. Ha un complesso d'inferiorità. Poche possibilità di sviluppo".
Alla CGIL fu un maestro eccezionale ricordo in una occasione che parlando di contrattazione diceva con la sua voce roca: "Quando vai ad una trattativa, devi prendere il padrone per il collo e stringere, stringere, ma non fino a strangolarlo, altrimenti con chi chiudi il contratto?"
L'ultimo incontro che ebbi con lui, fu quando casualmente salì in treno con un gruppo di amici e vedendomi, venne a sedere accanto a me, era appena appena euforico poiché mi raccontò di essere di ritorno da un pranzo fatto con i suoi collaboratori e in quell' occasione mi fece un bilancio della sua vita, raccontandomi dei sacrifici che la sua famiglia era stata costretta a subire causa le ristrettezze economiche in cui era sempre vissuto, ma per una causa giusta e mi raccontò che non aveva mai visto tanti soldi come da quando percepiva la pensione, che finalmente si sentiva ricco e mi disse la cifra della pensione, io me ne stetti zitto perché la mia retribuzione era quasi tre volte la sua pensione ed il mio benessere era dovuto ai sacrifici e all'abnegazione di gente come lui che per la causa era stato pronto a dare la vita e pensai che a me non era mai capitato di essere costretto a togliere la vita nemmeno ad un pollo.
Pochi mesi dopo quest'incontro, un'infarto se lo portò via, privandomi dell' amicizia di una persona straordinaria che aveva fatto la storia del XX° secolo e anche forgiato la nostra Libertà.

PS: Quanto riportato in questo scritto è solo frutto dei miei ricordi, se si riscontra qualche imprecisione, questa è dovuta al passare degli anni e alla labilità della mia memoria; grazie per la comprensione.

14/11/08

Pensiero


Non concepire più nessun dio e non concepirai l'inferno.

(Friedrich Durrematt- la valle del caos)

13/11/08

(anni cinquanta el toti)



Questa è una storia un po' cruda, ma quanto descritto, purtroppo, è veramente successo nella prima metà degli anni 50.



Un mio amico e coetaneo, all'età di circa sei anni, durante l'estate, si trovava con i familiari per la fienagione in una radura spersa fra i boschi; la fatalità volle che il poveretto fosse punto da una vespa o un calabrone sul glande del pisellino e tale puntura, gli causò la chiusura del canale uretrale.



Il piccino non venne portato dal medico, probabilmente a causa della mancanza di denaro per pagare il professionista, ma da una signora che risolse il problema con un ago arroventato, praticando un forellino a fianco dell'ostruzione.



Fu così che, da allora, il fanciullo per l'operazione di liberare la vescica impiegava una decina di minuti .



Abitavamo in un paese di alta montagna e in quegli anni la neve ci visitava frequentemente; il mio amico era il primo che andava alla messa mattutina e le tracce del suo passaggio spiccavano sulla neve fresca in una lunga e sottile linea gialla in quelle ore antelucane nel paese deserto e addormentato con una misera lampadina dalla luce molto fioca ogni centinaio metri per l'illuminazione, poi col passare degli anni, le tracce non portavano più verso la chiesa, ma si perdevano nei dintorni delle osterie, dove lui annegava la solitudine, infine giunto alla mezza età, la cirrosi gli regalò la pace.



Ora, quando ritorno al paese, passo a fare il giro del cimitero per un ricordo dei molti che mi hanno preceduto e ogni volta rivedo il sorriso ,un po' triste, del mio sfortunato amico.



Ancora non riesco a capacitarmi di quanto fosse dura la vita in montagna e come imperasse la miseria fino agli anni sessanta, quando, finalmente, con il boom economico il benessere arrivò anche lassù.

12/11/08

Monte Civetta






Dedico queste immagini del Monte Civetta in veste autunnale agli amici della natura e della montagna
Con l'augurio di poter frequentare questi bellissimi posti, nella prima foto :"la torre Trieste", nella seconda " ritorno degli escursionisti tra i faggi" , sotto il "monte Civetta dalla Val Corpassa"





















10/11/08

La politica



E' opinione comune che la politica sia una cosa sporca,
ma a renderla tale sono solo gli uomini che non seguono le regole della morale.

Da un pensiero del Dalai Lama.



Qualche anno fa, eravamo noi elettori a decidere, e purtroppo, troppo spesso, non bene,chi dovevano essere i nostri rappresentanti, ora la "casta" si è arrogata il diritto di scegliere direttamente lei chi deve rappresentarci e, troppo spesso, personaggi servi della casta stessa, per i quali le regole morali sono solo una variabile.
Ci vorrebbe uno scatto d'orgoglio da parte degli onesti per reintrodurre il voto di preferenza col quale, almeno, potremmo fare una certa selezione e premiare qualche persona limpida che consideri la politica solo come un servizio a favore della collettività.
Avanti uomini di buona volontà, facciamo udire la nostra voce e non omologhiamoci agli "appecoronati".

08/11/08

Il villaggio




Questo è il villaggio della mia fanciullezza, sperso fra i boschi. La foto è stata scattata con teleobiettivo che appiattisce le immagini


Leggendo il blog di Marina,"inezie essenziali" mi sono tornate alla mente le scandole.
Le scandole sono delle assicelle di legno di larice larghe una ventina di centimetri per circa un metro di lunghezza e venivano utilizzate per la copertura dei tetti in montagna.
Fra i ricordi nostalgici della mia fanciullezza, uno dei più vividi riguarda i temporali estivi, particolarmente forti nelle ore pomeridiane del mese di giugno, quando usciva dall'inferno la madre di san Pietro, che, secondo le storie che i vecchi mi raccontavano, era una donna malvagia e per questo motivo era finita all'inferno, però in prossimità della festività dei santi Pietro e Paolo riusciva a fuggire, ma quando veniva ricacciata nelle fiamme eterne si ribellava scatenando furiosi temporali.
Durante questi temporali mi piaceva rifugiarmi nel fienile dove era stato accumulato il primo taglio della fienagione ed era una delizia scavare un foro nel fieno ed infilarsi per un sonnellino pomeridiano, anche perché col temporale non c'era la possibilità di giocare all'esterno e non c'era la TV.
Il fieno, che fermentava, emanava dei profumi incredibili, profumo di sole, di fiori, di prati, ma anche di tante fatiche e privazioni e anche serenità.
Allora, nel mio buco avvolto nel fieno , guardavo il tetto coperto di scandole e sentivo la pioggia scrosciante, mentre i tuoni si susseguivano fortissimi facendo vibrare le assi delle pareti ed i lampi si insinuavano fra le fessure a volte accecanti quando la saetta era caduta su qualche abete vicino, però in quel posto mi sentivo protetto ed al sicuro senza nessuna paura.
Altri momenti che ricordo con nostalgia, erano le serate d'inverno, quando per risparmiare la legna si passavano le serate nelle stalle, dove il riscaldamento era garantito dall'alito umido delle mucche e dal fieno che fermentava.
Ricordo la luce di una nuda lampadina da tre candele coperta dalle cacche delle mosche che emanava una luce fioca e giallastra e quando veniva accesa qualche altra lampadina un attrezzo chiamato limitatore (dei consumi), faceva lampeggiare le lampade finché una non veniva spenta.
Nella stalla c'era un odore particolare di fieno, di lettiera, di alito delle vacche, ma non era fastidioso, forse perché faceva parte della nostra vita.
Radunarsi nelle stalle era detto in dialetto: "fare filò" e raramente ricordo ci fossero degli uomini, normalmente erano le donne e qualche bambino; le donne lavoravano a maglia e passavano la serata raccontando gli ultimi petegolezzi della vita in paese, ma il pezzo forte della serata erano le storie macabre.
Queste storie raccontavano di morti ed era credenza comune che quando qualcuno veniva a mancare, pochi momenti prima del decesso, ci fosse un segnale costituito da qualche rumore inspiegabile, una signora raccontava di un giovane figlio deceduto cadendo da un tetto distante dalla casa della madre e questa signora si trovava in camera sua quando udì il rumore di una biglia che correva sopra l'armadio e lo schiocco della biglia caduta sul pavimento, ma per quante ricerche avesse fatto anche in seguito, della biglia non v'era traccia, poi arrivò qualcuno a dirle che il figlio era morto.
In altri casi raccontavano di rumori forti senza alcuna spiegazione, salvo, poi arrivare la notizia di qualche decesso di persone care e distanti.
Altri racconti, che poi ci procuravano degli incubi, parlavano di fantasmi.
Una di queste storie sentita ripetutamente da mia madre, si riferiva al racconto di suo fratello più anziano di lei di una quindicina di anni. Una notte, mentre dopo diversi mesi di lavoro all'estero tornava a casa nel villaggio di una decina di abitazioni in una radura isolata in mezzo ai boschi ed ai torrenti, dunque mentre, percorreva il lungo sentiero nel bosco, in prossimità di una grande quercia, incontrò una signora anziana di un villaggio distante con la quale scambiò poche frasi, perché la signora aveva premura.
Il giorno seguente raccontò l'episodio a mia nonna, meravigliato del fatto che questa signora si trovasse in piena notte così distante da casa sua e mia nonna lo interruppe dicendo che questa signora era morta da diversi mesi mentre lo zio era all'estero, il mistero si infittì quando mio zio raccontò ai familiari della defunta dell'incontro e di come era vestita narrando dei particolari dell'abbigliamento, i parenti riconobbero che la donna, così era stata abbigliata per l'ultimo viaggio.
In seguito a questo racconto da ragazzo, quando mi capitava di passare vicino a quella quercia al buio, allungavo il passo, ma non incontrai mai nessuno.
Questi racconti ci facevano correre i brividi lungo la schiena, mentre le mucche si giravano a guardarci con i loro grandi occhi umidi e miti e quando si giravano si sentiva il rumore della catena che scorreva nel foro della greppia e il rumore caratteristico che producevano ruminando.
Altro momento interessante era quando, frequentemente, le donne toccavano argomenti inerenti al sesso e si arrampicavano sugli specchi alludendo in maniera che i bambini non capissero di cosa si trattava, ma noi tendevamo le orecchie perché sapevamo fin troppo bene a cosa alludevano.
Poi, con il passare degli anni le stalle si sono svuotate, i fienili non sono più ricoperti dalle scandole, ma o coperti da lamiere ormai arruginite, oppure sono diventati seconde case abitate un paio di settimane ad agosto e nel villaggio della mia infanzia, per gran parte dell'anno girano solo le volpi, i cervi, i caprioli e in questi ultimi anni anche i cinghiali, ma raramente gli uomini, solo i ricordi e le fatiche di chi non c'è più rimangono e anche il vento è più triste.

05/11/08

Welcome to Obama

Esortazione a Obama




Prendi un sorriso,
regalalo a chi non l'ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
fallo volare là ove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fa bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
posala sul viso di chi non ha mai pianto.
Prendi il coraggio,
mettilo nell'animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza
e vivi nella sua luce.
Prendi la bontà e donala a chi non sa donare.
Scopri l'amore,
e fallo conoscere al mondo.

Questa esortazione del Mahatma Gandhi , trascritta nel mio quaderno diversi anni orsono,oggi, sia un auspicio per il lavoro di Barack Obama, nell'interesse degli ultimi.


03/11/08

Un attimo di riflessione


Propongo un minuto di riflessione :

Da "La strage delle illusioni" di Giacomo Leopardi:

L' uomo per natura è libero e uguale a qualunque altro della sua specie, ma nello stato di società non è così.

Le caste, il razzismo, la schiavitù, il bisogno, la mancanza di solidarietà, l'ignoranza e poi ancora e ancora....tutte negatività che servono a differenziare e penalizzare maggiormente i deboli e gli indifesi.