Fino alla metà del secolo scorso, buona parte dell'economia delle famiglie del mio paese, derivava dalle mucche che fornivano latte, formaggio, burro e carne.
Durante l' inverno, le mucche stavano nelle stalle situate di norma accanto alle abitazioni e venivano alimentate col fieno ricavato durante le stagione estiva.
Ogni metro quadro di prato veniva falciato fino a molta distanza dalle abitazioni, come ho già descritto nel post FIENAGIONE.
Durante il periodo che andava dalla metà di giugno alla metà di settembre, le vacche venivano mandate a monticare nelle malghe in alto sulle montagne, ma nel tal caso, alle famiglie proprietarie di bovini, veniva a mancare il latte con i suoi sottoprodotti e si trattava di una grossa perdita economica nelle famiglie che non navigavano nell' abbondanza, allora per sopperire alla malga, utilizzavano delle stalle chiamate "casei" disseminate nelle radure dei boschi.
Il "casel" era una rudimentale costruzione di un vano costruita su una base quadra di un muro di sassi non legati da malta che fungeva da stalla, mentre la parte superiore in tronchi ed assi con il tetto di scandole, era il fienile.
Attorno al "casel" un prato.
Quando la stalla era di due vani, si chiamava "casera" ed il secondo vano era fornito di focolare e tavolo, sopra il fienile era più spazioso e ci stava pure un letto con il materasso imbottito di fieno oppure delle foglie secche che avvolgevano le pannocchie di granoturco chiamate "foiole".
La casera veniva usata come abitazione per accudire le vacche, durante la fienagione, oppure quando si tagliava la legna nei boschi vicini.
La mattina all'alba, bisognava mungere le mucche, poi venivano affidate ai ragazzi dai dieci ai quattordici anni che le portavano a pascolare nelle radure fra i boschi,
mentre gli adulti provvedevano al taglio del fieno attorno alla casera.
A sera rientrava il bestiame per la seconda mungitura, i ragazzi e gli adulti ritornavano in paese e nelle casera rimaneva a dormire qualcuno, di solito una donna, che la mattina all'alba, provvedeva alle incombenze della mungitura.
Le casere non erano fornite di corrente elettrica, per l'illuminazione si sopperiva con candele, (molto pericolose a causa del legno e del fieno presenti in abbondanza), lampade a petrolio oppure ad acetilene, molto più sicure delle candele, perché la fiamma era protetta e la base di appoggio più stabile.
La donna che rimaneva nella casera, consumava una modesta cena, di solito una minestra, o una scodella di latte con una fetta di polenta fredda avanzata a mezzogiorno, poi le rimaneva qualche momento di riposo, da trascorrere con i suoi pensieri e una preghiera, seduta sulla panca all'esterno, assaporando gli odori intensi che impregnavano l'aria.
Odore caldo delle vacche, odore di fumo del ceppo che ardeva nel focolare, odore penetrante del fieno in fermentazione, odore della terra del vicino bosco odore, della resina delle piante, odore di fatiche, mentre il profilo delle montagne di fronte, si perdeva nel blu cobalto del cielo.
Arrivava presto il momento di sdraiarsi sul letto nel buio e nell'assenza dei rumori tipici di una casa.
Spesso il riposo era agitato dai ricordi di tutti i racconti che fin dall' infanzia si erano sentiti ripetute volte, racconti che parlavano di streghe, di folletti, di dannati, di spiriti.
Allora il silenzio che sembrava totale, si animava di rumori, lo schiocco di un ramo secco che si spezzava, il tonfo di un ramo che cadeva al suolo, lo scricchiolio delle piante sotto la torsione di un refolo di vento o il sibilare del vento che si infilava fra le fessure, oppure qualche animale.
Ricordo il racconto di una mia prozia che era rimasta sconvolta dalla "catha salvarega", letteralmente la caccia selvaggia, si narrava che le anime dannate dei cacciatori che la domenica, anziché andare alla messa, andavano a caccia, poi venivano condannati ad essere perennemente inseguiti per i boschi da una muta di cani inferociti che latravano ed abbaiavano e ringhiavano, la zia Marietta era rimasta terrorizzata, anche se una volta mi aveva confessato che forse si trattava di volpi innamorate e quella era sicuramente la realtà.
Poi c'era il "Matharol" un folletto vestito di rosso che girava incessantemente per i boschi ed era molto dispettoso nei confronti degli uomini.
Si diceva che il "Matharol" rapiva i bimbi, li portava nel bosco, li rimpinzava di frutti di bosco, di polenta intinta nel latte oppure di croste di polenta, poi, dopo un paio di giorni i bambini erano rimandati a casa.
Bisognava stare molto attenti nei boschi, perché mettere un piede sull'impronta del "Matharol" significava perdere la cognizione del tempo e dello spazio; quando qualcuno nella vita era molto sfortunato, si diceva. " el à balegà sulla peca del Matharol", cioè: ha calpestato l' impronta del Matharol, e da qui la sfortuna l'avrebbe perseguitato per sempre.
Il Matharol faceva poi altri dispetti, come mungere la mucche di nascosto, poi la mattina non davano più latte, oppure era malizioso con le ragazze, si trasformava in un gomitolo di lana pregiata, la fanciulla che lo trovava lo poneva nell' ampia camicia allora il Matharol saltava dalla scollatura canzonando la fanciulla: "Ti ho toccato le tettine, ti ho toccato le tettine..."
Un altro personaggio che girava per i boschi, era " el om salvarech"
l'uomo selvatico, questo cercava di evitare gli uomini, era vestito di licopodio, una specie di muschio , però si narra che una volta durante un furioso temporale si riparò in una casera e vedendo che mungendo le vacche, non riuscivano a togliere le impurità che cadevano nel latte, così per riconoscenza insegnò agli uomini primitivi a filtrare il latte usando un filtro della particolare erba di cui era vestito.
Ancora ai nostri giorni, si usa ricordare " el om salvarech", con una persona vestita di licopodio , con una pianta di betulla per bastone.
Un pericolo, ma solo per gli uomini era il "Martorel", una specie di lupo che di notte aggrediva gli uomini e li rapinava, così quando l' uomo arrivava a casa sconvolto e senza soldi, con la scusa di aver incontrato "il Martorel" giustificava il fatto di aver scialato i pochi soldi in bicchieri di vino all' osteria, però provvidenziale questo Martorel, arrivava sempre nel momento giusto!
C' erano poi la streghe che di notte ballavano nelle radure e se qualche malcapitato le scorgeva, poi lo rapivano e non tornava più, si racconta di un boscaiolo che dopo aver assistito ad una danza delle streghe, era stato scorto da una strega bellissima che voleva portarlo via, ma il boscaiolo furbo, le disse; Vengo volentieri con te, ma prima devo finire di aprire questo tronco, se mi aiuti, facciamo presto, tu devi mettere le mani nella fessura e divaricare mentre io metto un altro cuneo.
La strega prontamente mise le mani nella fessura, allora il boscaiolo con un colpo bene assestato fece volare il cuneo che teneva aperto il tronco, la fessura si richiuse imprigionando dolorosamente le mani della strega che urlando dal dolore si trasformò in una vecchia laida, però il boscaiolo riuscì a scappare scendendo a valle e mettendosi in salvo.
Poi c' erano molti altri racconti, anche molto macabri che tornavano alla memoria e nella solitudine della casera il sonno si popolava di incubi, fortuna che le notti estive erano molto corte ed in breve ritornava la luce e le vacche cominciavano a muggire perché era già l' ora della mungitura.