
Pur vivendo in una cittadina di provincia, ho avuto la fortuna di conoscere molte persone straordinarie e di molte ho pure avuto l'onore di una salda amicizia.
Vorrei soffermarmi su un episodio che ha per protagonista un comandante partigiano.
Era una persona modesta, ma di forte carisma e nonostante l'età di un'acutezza straordinaria nel capire prima degli altri quale era la strada da seguire.
Iscritto al partito comunista fin da ragazzo e quando gli chiesi come mai lui, cresciuto in uno sperduto paese di montagna, potesse essere di fede comunista negli anni 30 in piena era fascista, lui mi raccontò che nel primo decennio del 1900 era arrivata nel paese una nobildonna russa (era Angelica Balabanov, esiliata dallo zar per le sue idee rivoluzionarie); questa nobildonna radunò attorno a sé le ragazzine del paese dando loro istruzione in quegli anni che l'analfabetismo era la norma.
Fra queste ragazzine c'era pure la madre del mio amico e fu così che lui assorbì le idee rivoluzionarie dalla mamma.
Fondatore nel settembre 1943 del primo gruppo di partigiani della provincia di Belluno, venne arrestato nel novembre del 43 ed imprigionato nel carcere di Belluno.
La provincia di Belluno era stata annessa al III Reich nella regione Alpenvorland alle dirette dipendenze di un Gauleiter, pertanto al posto dei fascisti, erano subentrati i tedeschi ( i fascisti avevano un ruolo molto marginale).
Nella primavera del 1944, molti erano i partigiani imprigionati nel carcere di Belluno e oltre il mio amico, anche il comandante militare delle brigate partigiane era stato catturato.
I partigiani decisero di liberarli con un audace colpo di mano.
La sera del 15 giugno 1944 una trentina di uomini scortati da partigiani travestiti da tedeschi fra cui spiccavano dei partigiani russi alti e biondi come i crucchi,
si avvicinarono al carcere e giunti davanti al portone intimarono ai carabinieri di aprire, questi aprirono convinti che i tedeschi avessero portato dei prigionieri catturati e, invece,si trovarono davanti alle armi spianate dei partigiani.
Dopo aver isolato le comunicazioni del carcere vennero liberati settantatre detenuti fra cui alcuni condannati a morte.
Quell'episodio rimase nella storia, noto come "La beffa di Baldenich" dal nome del carcere.
Ritornato a combattere fra i monti, si trovò al centro di un episodio che vide l'eccido di un gruppo di fascisti.
I partigiani si erano trovati ad affrontare un attacco tedesco che riuscirono a respingere, catturando una cinquantina di fascisti in divisa SS e qualche tedesco.
Le trattative fatte col comando tedesco per uno scambio di prigionieri si risolsero solamente con la liberazione dei tedeschi, quanto ai loro collaboratori fascisti in divisa SS, i tedeschi risposero che non gli interessavano e i partigiani ne facessero quello che volevano.
Il comando partigiano decise per l'eliminazione dei fascisti poiché non potevano gestirli in quel momento cruciale della guerra e liberarli significava ritrovarseli ancora davanti come era già accaduto altre volte in passato quando i partigiani, non potendo metterli in carcere, avevano liberato delle spie catturate e queste erano ritornate subito sul posto guidando le SS per la rappresaglia con conseguente morte o tortura di partigiani e incendi di case e brutali uccisioni di civili.
Al mio amico, venne dato il comando della triste operazione, della quale si assunse pubblicamente ogni responsabilità, purtroppo questa era la guerra e certi episodi che oggi possono essere discutibili in quel periodo erano visti con l'ottica della sopravvivenza: "o me o te!"
Una mattina incontrai in piazza il mio amico che era sempre contento d'incontrarmi ed accettò volentieri il mio invito per un aperitivo, anch'io lo vedevo sempre con grande piacere, perché avevo sempre molto da imparare da una persona di grande carisma.
Seduti al tavolino di un bar (era l'estate del 1994), nella piazza dove ai lampioni erano stati impiccati quattro partigiani nel marzo del 1945 per una rappresaglia tedesca, parlando del più e del meno, il discorso cadde sui seguaci di Mussolini che erano tornati al potere dopo cinquant'anni col I° governo Berlusconi, e lui mi raccontò un episodio accaduto sul finire della guerra; dunque, stava ritornando a casa nel paese dove abitava, come mezzo di trasporto, stava utilizzando una scassatissima bicicletta con i copertoni quasi inesisteneti tanto erano logori.
Giunto all'inizio di una ripida discesa in prossimità della villa dove un paio di anni prima c'era stato un convegno fra Hitler e Mussolini, scoppiò con un gran botto un copertone della bicicletta ed immediatamente si materializzarono i miliziani che facevano la guardia alla villa dove in quel momento si trovavano ospiti alti rappresentanti della repubblica di Salò.
Immediatamente il mio amico venne fermato e portato alla villa; lui, mi raccontò, che era vestito come si usava allora con i pantaloni alla zuava, larghissimi ed allacciati sotto le ginocchia con un grande sbuffo all'altezza di queste.
All'interno di questi sbuffi aveva introdotto un grande quantitativo di ciclostilati della Resistenza, che stava portando al paese per la distribuzione.
I miliziani lo portarono subito di fronte a quello che lui definì: "il più grande caporione della milizia", questi cominciò ad interrogarlo chiedendogli chi fosse e il mio amico gli rispose che era un soldato in convalescenza, rimpatriato per ferite dall'Albania.
Il gerarca capì immediatamente di essere di fronte ad un partigiano ed allora cavò il portafogli dalla tasca, e da questi estrasse un foglio che fece vedere al mio amico: era la ricevuta di un versamento fatto alla Resistenza di Venezia.
Il mio amico mestamente disse: "Io in guerra ho dovuto uccidere delle persone, perché la scelta era uccidere o essere uccisi, ma in quel momento ho capito che quelli che avevo ucciso erano solo dei poveri disgraziati come me, mentre i caporioni che li mandavano a morire, sarebbero sempre ritornati e ora sono ancora quà".
Alla fine della guerra divenne funzionario prima del PCI e successivamente della CGIL; significativo un episodio che lo riguarda come funzionario del partito; come resposabile della comissione quadri gli venne chiesto da Roma di esprimere un giudizio su se stesso e su gli altri funzionari, di se scrisse:" Sarto, volenteroso, molto attaccato al Partito; carattere un po' chiuso. Ha un complesso d'inferiorità. Poche possibilità di sviluppo".
Alla CGIL fu un maestro eccezionale ricordo in una occasione che parlando di contrattazione diceva con la sua voce roca: "Quando vai ad una trattativa, devi prendere il padrone per il collo e stringere, stringere, ma non fino a strangolarlo, altrimenti con chi chiudi il contratto?"
L'ultimo incontro che ebbi con lui, fu quando casualmente salì in treno con un gruppo di amici e vedendomi, venne a sedere accanto a me, era appena appena euforico poiché mi raccontò di essere di ritorno da un pranzo fatto con i suoi collaboratori e in quell' occasione mi fece un bilancio della sua vita, raccontandomi dei sacrifici che la sua famiglia era stata costretta a subire causa le ristrettezze economiche in cui era sempre vissuto, ma per una causa giusta e mi raccontò che non aveva mai visto tanti soldi come da quando percepiva la pensione, che finalmente si sentiva ricco e mi disse la cifra della pensione, io me ne stetti zitto perché la mia retribuzione era quasi tre volte la sua pensione ed il mio benessere era dovuto ai sacrifici e all'abnegazione di gente come lui che per la causa era stato pronto a dare la vita e pensai che a me non era mai capitato di essere costretto a togliere la vita nemmeno ad un pollo.
Pochi mesi dopo quest'incontro, un'infarto se lo portò via, privandomi dell' amicizia di una persona straordinaria che aveva fatto la storia del XX° secolo e anche forgiato la nostra Libertà.
PS: Quanto riportato in questo scritto è solo frutto dei miei ricordi, se si riscontra qualche imprecisione, questa è dovuta al passare degli anni e alla labilità della mia memoria; grazie per la comprensione.